Piazza della Repubblica 12

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In piena Porta Palazzo sta avvenendo una storia da manuale, di quelle che i sociologi riportano come avvenimenti caratteristici dei processi di riqualificazione. Anche qui, tra queste pagine pixelate, non si sono risparmiate parole al riguardo, non tanto per creare un sollazzo analitico sul tema, ma per cercare di decodificare cosa in una città come Torino è avvenuto e sta avvenendo, a discapito di coloro che “la riconquista urbana”, “la rivitalizzazione delle vie” e “la rigenerazione dei quartieri” la subiscono violentemente e qualche volta decidono di reagire. 

Lo stabile sito in Piazza della Repubblica al civico 12 nel corso degli ultimi anni è passato nelle mani di differenti proprietari, venduto e rivenduto sempre a prezzi estremamente a buon mercato, fino a finire nella proprietà fondiaria di Gustavo Denegri. Il signor Denegri non è che il più ricco uomo di Torino. Lui e le sue aziende pagano l’affitto alla Cassa Depositi e Prestiti per l’ex-caserma dei pompieri e hanno la proprietà dello stabile all’angolo, vuoto da tempo e ora già impacchettato da ponteggi.

Nonostante il progetto the Gate e i suoi nessi e connessi abbia selciato la via della rivalutazione immobiliare della zona, esistono ancora sacche di vuoto e degrado, che permettono a una parte di vecchi abitanti di pagare affitti tutto sommato bassi. A quanto pare è giunto il tempo propizio per un nuovo colpo di rigenerazione urbana. Dentro un progetto più ampio che coinvolge altre due aree della piazza – il mercato del pesce e il palazzetto Fuksas – s’inseriscono i disegni del signor Denegri e le sue differenti vesti; We Gastomeco è l’azienda di famiglia che si occupa di attivare strutture alberghiere all’avanguardia, qui a Porta Palazzo darà forma a un ostello di lusso con il sostegno di Petrini e la sua crew della lumaca. Si vocifera che i lavori all’interno del palazzo saranno conclusi per la prima metà del 2019, quando delle parti della città saranno allestite per ospitare il salone del gusto, il festival per “valorizzare il cibo”. Il prospetto è ben delineato, i tempi ben incastrati, gli operai già all’opera. Un solo piccolo problema: uno degli stabili aquistati, quello al numero 12, è pieno zeppo di gente, che ci vive, dorme, mangia, alcuni ci lavorano pure.

Si tratterebbe di “un effetto collaterale”. È così che sono stati denominati gli abitanti che hanno interrogato qualcuno del Comune per chiedere spiegazioni sul progetto e sulle loro sorti. E gli effetti collaterali vanno superati. Primo: dopo aver rimosso il diritto di prelazione per qualsiasi locatario sia di alloggio che di locale commerciale, sono giunte a ciascuno le lettere che sanciscono l’impossibilità di rinnovare il contratto a fine locazione… così a qualcuno rimane una manciata di mesi ad altri un respiro lungo poco più di un anno per poi iniziare la procedura di sfratto.

Giunti fino a qua non si tratta forse di un processo da manuale per cui la nuova economia letteralmente avanza attraverso la guerra agli attuali abitanti dalle scarse risorse?

«In realtà, come tutti sanno benché facciano finta di ignorarlo, l’obiettivo della manovra è sempre lo stesso: rinnovare la popolazione, valorizzare gli spazi “liberati” a profitto di imprenditori, costruttori e speculatori, “riqualificarli” per riservarli a “gente di qualità”. In breve, far sloggiare le classi popolari la cui presenza nelle zone centrali in quanto abitanti […] è considerata inutile se non addirittura ingombrante. […] privati di questo diritto, i residenti espulsi in periferia avranno ugualmente accesso al cuore della metropoli: in quanto lavoratori impiegati nei propriamente detti “servizi” o di tanto in tanto come consumatori di quelle amenità urbane che siano alla portata del loro portafogli o piuttosto di quanto permette la loro carta di credito.»                                                                                                                                                                                    Jean Pierre Garnier, Metropolizzazione

Percepito che gli attuali inquilini non vogliono accontentarsi del magro indennizzo offerto la strategia si è spostata a lavorare sul fianco. Da martedì è stato posizionato nel cortile interno della palazzina un piccolo container che funge da ufficio con un addetto alla sicurezza. Dove guarderà l’unica finestra di cui è dotato il gabbiotto? Proprio sulla porta che conduce alle abitazioni private. Uno spione in piena regola e per di più scelto con cura dato che parla il medesimo idioma della maggior parte delle persone che lì vivono.

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C’è qualcosa che però nei manuali non si trova, qualcosa che si trova solo in strada, come questa volta: gli abitanti del palazzo si sono parlati e capendo l’aria che sferza contro di loro hanno deciso di opporsi insieme.

In concomitanza con l’apparizione della guardiola in cortile sono apparse di fronte allo stabile le paline che segnalano il divieto di sosta per tre giorni consecutivi. La ditta edile Co.ge.fa. che si sta occupando dei lavori sull’intera area doveva montare dei ponteggi e ha acquisito il permesso di occupare il marciapiede per un anno intero. Pare chiaro l’intento di sfiancare gli inquilini, vivere asserragliati da tubi innocenti e teli di pvc senza una scadenza non deve essere piacevole, per i commercianti al piano terra non è il modo più invitante per attirare nuovi clienti.

La minaccia dell’assemblaggio dei ponteggi è stata l’occasione per beccarsi sul marciapiede assieme e capire come contrastare il progetto, senza aspettare che avvocati o tecnici spulcino le carte in cerca di un’incogruenza.

Giovedì, di primo mattino e di buona lena, abitanti e vicini di casa solidali hanno fatto un picchetto davanti al portone. Donne, uomini, bambini, alcuni solidali e una colazione condivisa, in attesa che arrivasse qualcuno oltre gli operai e la solita e solerte Digos, magari un padrone o un lacchè avvocatizio. L’attesa non è stata lunga perché il responsabile della ditta, ventiquattrore alla mano, è giunto poco dopo per sproloquiare di permessi del Comune e di lavori necessari per il controllo del tetto. Nessuno dei presenti si è fatto fregare dall’inesorabilità con cui vengono presentate le carte timbrate, tutti hanno esplicitato senza troppi giri di parole quanto siano consapevoli che il ponteggio sia la prima modalità per provare a cacciarli. Dopo un fitto botta e risposta, il portacarte capisce di non riuscire a bucare la determinazione del gruppo di abitanti e si allontana per andare a parlare con gli agenti in borghese poco lontani.

Stamattina, il gruppo si è rincontrato davanti al portone, più o meno nella medesima composizione. I cartelli stradali che annunciavano il divieto sono stati spostati, di operai neanche l’ombra, solo alcuni poliziotti in borghese sorvegliavano a qualche centinaio di metri.

Per ora nulla di fatto, ma ci sarà da stare all’occhio. Non pensiamo che il-più-ricco-di-Torino mollerà la presa facilmente.

Qui l’intervento di Amin, uno degli abitanti, ai microfoni di Radio Blackout.